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Daniel Pennac Cari insegnanti leggere è sognare

LO SPAZIO DEL PASSEUR


... è come una piccola antologia, paginette senza pretese, senza alcun legame apparente fra loro, dove i lettori potranno spigolare inaspettati suggerimenti o prendere nota di alcuni spunti di lettura o di un’idea.


Così, tra le miriadi di spunti che quotidianamente ci scorrono sotto gli occhi, abbiamo scelto di proporvi un articolo di Daniel Pennac (che esercitò lui pure la professione di insegnante), tratto da “Robinson” del 4 luglio 2020, al quale articolo facciamo precedere, a mo’ di introduzione, un pensiero dello stesso Autore, ripreso da Come un romanzo (1992), cui non si dà valore assoluto ma riferisce una buona dose di verità:


« l'uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire ».

 
Quando ero bambino, nessuno mi leggeva mai a voce alta. Sono diventato lettore per evadere dal collegio. Per rifiuto della reclusione e per rifiuto della lettura medico- legale che i miei professori m’insegnavano dissezionando poveri testi sotto i miei occhi.
Ma lo sapete in che modo entriamo solitamente nella letteratura? La conoscete la porta d’ingresso naturale della letteratura? È il viso e la voce di colui o colei che ci racconta la nostra prima storia. Eccolo, il portone da cui la stragrande maggioranza dei lettori entra nella letteratura. Il bambino nasce, il bambino vive, il bambino non vuole lasciarci per andare a dormire. Non gli piace l’idea di lasciare la vita, anche solo temporaneamente. Il letto è una minaccia che gli strappa urla disperate. Per abbandonarsi al sonno ha bisogno di una compagnia all’altezza della nostra, che sia altrettanto viva, altrettanto preziosa, altrettanto intima della nostra. Una compagnia che sia altrettanto noi di noi. La bella storia che mi racconta la mamma è la mamma. La virtù principale di un racconto è il narratore. Ascoltando quella storia, sono disposto ad addormentarmi. Con la voce di papà o della mamma che mi gonfia le vele, allora sì, sono disposto a imbarcarmi sul vascello del sonno. La letteratura la fanno in primo luogo coloro che si chinano sulla culla del bambino per popolarla dell’equipaggio dei sogni: re, regine, fate, streghe, porcellini, lupi, orchi, burattini con il naso sempre più lungo a furia di bugie, guerrieri greci, marziani, Marcovaldi, Harry Potter, ecco l’equipaggio della nave notturna. È così che cominciamo a leggere senza saper decifrare nemmeno una lettera.
Ed è qualcosa di gratuito.Di quotidiano. Di normale. È amore. Ed è già la letteratura.
Poi arriva il momento di andare a scuola, di imparare. Imparare cosa vogliono dire quelle lettere. Che delle "m" e delle "a", prive in sé di qualunque significato, e che non fanno alcun rumore sulla pagina, significhino "mamma" se le assembliamo in un certo ordine, è un vero e proprio miracolo. Quei segni che non volevano dire niente dicono a un tratto la cosa più importante di tutte: MAMMA! Proprio con la scoperta del passaggio miracoloso dal segno al senso, un bel giorno siamo diventati lettori. È una meraviglia di cui non riusciremo mai a capacitarci. Ma intanto continuiamo a imparare. La scuola ci fa delle domande. Perché la fata ha fatto così? Perché il re ha detto cosà? Come fa l’autore per? Cosa intende dire quando scrive tale frase? Eccoci piombati nel laboratorio della letteratura medico- legale. Per ogni frase, la sua bella dose di domande, per ogni domanda l’obbligo di rispondere.
Non è più gratuito. Si paga. La moneta è il voto. Non è più amore.E ci allontana dalla letteratura.
Papà e mamma sono spariti. Con la scusa che "so leggere", e che la scuola si è impossessata di me, la sera non mi leggono più niente. Mi abbandonano all’universo dell’apprendimento scolastico, all’eterno commercio fra la lettura e il voto. Ero un lettore che aveva spiccato il volo nella letteratura e ora mi ritrovo a essere uno scolaretto asservito al voto. Ridatemi le mie letture serali o non farò più i compiti! Ridatemi la gratuità del leggere o non leggerò più! Non ho nulla in contrario nell’imparare a leggere, anzi, mi piace un sacco. Ma a condizione di non perdere la mia libertà di lettore. Ridatemi l’amore, ridatemi il desiderio, ridatemi lo slancio, ridatemi la letteratura.
Mio figlio, mia figlia non leggono, si lamenta la signora Tizia o il signor Caio. È un disastro, i nostri figli non leggono niente. Vorremmo così tanto che leggessero. Non è vero, cari miei. Non volete davvero che leggano, volete che riescano negli studi, è ben diverso. Non volete fare di loro dei lettori, volete farne dei laureati. Non volete che prendano il volo nella letteratura, volete che sappiano parlare in maniera intelligente di libri che non hanno letto.
Non avete, insomma, alcun desiderio particolare di farne dei lettori.E poi, in fondo, che cos’è un lettore, o una lettrice?
Un lettore, una lettrice, mentre leggono, mentre sono immersi in un bel romanzo, diventano ciò che non sono più: non più un insegnante, non più un’editrice, non più un contadino, non più un’infermiera, non più un operaio, non più un’avvocata, non più un meccanico, non più una disoccupata, non più un gangster, non più un poliziotto, non più un cittadino, non più un’elettrice, non più un malato, non più una vedova, non più un padre, una madre, un marito, una moglie, un figlio, una figlia. Un lettore è ciò che resta di noi quando leggiamo, e che resiste a qualunque definizione. È la libertà pura e semplice.
(Traduzione di Yasmina Melaouah)

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