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Matteo Olivero

Matteo Olivero - Pittore divisionista

Matteo Olivero nacque ad Acceglio il 5 giugno 1879, dal padre Matteo già̀ sessantenne, con un passato di viaggiatore lavorando come fuochista sui mercantili che salpavano da Savona, e dalla madre Lucia Rosano, rispetto al marito, solo trentacinquenne.

Una vita segnata dalla presenza di questa donna eccellente la quale, seppur rimanendo sempre nell’ombra, vide e sostenne fino alla fine quel figlio talentuoso operando scelte coraggiose (la vendita delle proprietà̀ in Acceglio per trasferirsi a Dronero e consentirgli gli studi, poi per le scuole artistiche a Cuneo, per l’Accademia Albertina a Torino ed infine la scelta di Saluzzo, dimora amata dal pittore, per il suo ambiente signorile e semplice, molto confacente all’indole bohemiènne di Matteo).

Morto il padre quando il bambino aveva nove anni, la madre sarà̀ sempre una presenza più̀ che necessaria per la vita e l’opera del pittore.


Alla scuola Tecnica di Cuneo “Matteo stringerà̀ amicizia con Bartolomeo Revelli, suo compagno di scuola, che sarà̀ il padre del futuro scrittore e partigiano Nuto Revelli, a cui Matteo farà̀ da padrino il giorno del Battesimo. Alla fine dei corsi, si fa fare una fotografia che lo rappresenta con un foglio ed una matita in mano: è pronto per l'avventura di Torino“ (Daniela Bernagozzi).

All’Accademia Albertina, Matteo fu allievo di Andrea Tavernier, P. Celestino Gilardi, Giacomo Grosso e Leonardo Bistolfi.

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La sua carriera di pittore iniziò molto presto, anche perché da subito dimostrò un talento non comune nel disegno e nel colore, ma fu durante un viaggio all’Exposition National di Parigi nel 1900 che si definì̀ il suo amore per il divisionismo in particolare, una tecnica alla quale sarà̀ sempre fedele, perché́ la considerava molto personale, qui, infatti, poté́ venire a contatto con le opere di Giovanni Segantini e degli altri divisionisti del tempo, in seguito anche Giuseppe Pelizza da Volpedo (autore del famoso “Quarto Stato”, accanto al quale casualmente espose una sua opera, alla quadriennale torinese, “Ultime capanne”).

Con Pellizza intercorrerà̀ un’amicizia epistolare di due artisti di alto livello che non si incontrarono mai di persona).

 

La pittura divisionista, come noi sappiamo, era la pittura divisa: cioè̀ gli studi di fisica emersi all'epoca portavano a un discorso di scomposizione della luce e ricomposizione della stessa, accostando i colori, quindi non più̀ mescolandoli ma tenendoli divisi, da cui il nome Divisionismo. Che è il versante italiano di un fenomeno francese che si chiamava pointillisme e che faceva capo a pittori famosi come Signac. A lungo il Divisionismo italiano è stato considerato come minore rispetto al pointillisme e ad altri fenomeni più̀ di rilievo più̀ internazionale. Teniamo presente che il Divisionismo in Italia si afferma quando già̀ la pittura ottocentesca di carattere regionale è in difficoltà, agonizza, se si vuole, e non è ancora emerso il discorso dell'avanguardia o sta muovendo i primi passi il discorso che ci porterà̀ poi verso il Futurismo e l’avanguardia” (Roberto Baravalle).

Amico della Famiglia Galimberti e Revelli di Cuneo, frequentò i livelli più̀ alti della società̀ del suo tempo, amando scegliere di condividere la vita dei più̀ semplici nelle osterie e nella semplicità̀ della vita di montagna, ricercata sempre come la sua “dimensione” più̀ vera.

La sua vita fu sempre attraversata da grandi successi e riconoscimenti, viaggi a Torino e a Venezia, esposizioni a Genova, Roma, Parigi, Ginevra, Monaco di Baviera o a Bruxelles, alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano, sceglieva sempre Acceglio, la Valle Maira, il Santuario di Castelmagno, in seguito la Valle Varaita e la Valle Po alternate alle lunghe permanenze a Saluzzo, Matteo Olivero mantenne un legame strettissimo con le proprie radici: quelle montagne in cui era nato e alle quali ritornò regolarmente, sempre.
Egli scrisse nel 1908 “La maggior parte dei miei quadri di paesaggio li ho eseguiti nell'alta valle Macra; e direttamente dal vero; la natura solo mi è maestra”.

 

Di animo gioviale e compagnone inventò il personaggio “Rigadin”, una maschera che sfoggiava nei carnevali di Saluzzo. Questa vena ironica ed autoironica lo contraddistinguerà̀ sempre, anche in molti suoi capolavori.
 

“Fino alla Grande guerra la sua carriera sarà̀ fortunata, ricca di premiazioni, attestati e vendite.
Furono soprattutto i suoi grandi paesaggi degli amatissimi monti cuneesi a stabilire il suo successo, visioni vaste e molto definite, sorrette da un talento infallibile per le gradazioni e gli stacchi luminosi, che celebrano al limite della metafisica, la solennità̀ della montagna sotto la luce cristallina degli inverni innevati.
La grammatica del colore diviso lasciò però anche il posto ad una pennellata meno minuta, compensata da coraggiosi stacchi di colore nelle opere meno monumentali e nei bozzetti, di stesura più̀ impressionistica, che sono stati prediletti nel Novecento a scapito dei lavori di più̀ vasto impegno. Nei decenni delle grandi rivoluzioni artistiche, con le quali ebbe un rapporto contraddittorio, rimase fedele alla sua prima formazione non senza momenti di polemica specie del Futurismo” (Rosanna Maggio Serra).

Così sensibile e delicato nell’animo, dopo la guerra, subita e mai ricordata, la sua salute cominciò a rivelare il tarlo che rodeva il suo animo, con alternanze di momenti sereni a depressivi. La sua produzione artistica continuò comunque, all’occorrenza ritrattista o decoratore sacro, il suo interesse ritornava sempre alla natura, soprattutto alla montagna, nella luce, che rendeva calda e avvolgente quella neve, che egli sapeva rendere con una gamma di colori e ombre delicate e brillanti.

 

La depressione conseguente alla morte della madre e al mancato riconoscimento artistico nell’ultimo periodo della sua vita non sarà̀ neppure attenuata dall’ospitalità̀ riservatagli dalla famiglia Burgo di Verzuolo e Matteo Olivero il 28 aprile 1932 pose fine al suo travaglio interiore “Finì ‘d tribulé”. Dopo la sua morte, sul cavalletto nel suo studiolo, è stato ritrovato un quadro che ritraeva un paesaggio di montagna della Valle Po, con il Monviso.

Fortunato Bonelli, estimatore del grande pittore e conoscitore profondo della Valle Maira afferma che “Maté, quando sceglie un soggetto di montagna, non va a scegliere l’angolo più̀ pittoresco o stupefacente: spesso là dove dimora, coglie la luce e riprende quello scorcio, anche anonimo e ne compone un capolavoro”.

 

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Questo ricordo dedicato a Lucia Rosano, madre del pittore Matteo Olivero, è stato curato da Daniela Bernagozzi, autrice del libro “Matè. Vita solitaria e randagia del pittore Matteo Olivero”. Ci viene gentilmente concessa l’opportunità di riproporlo qui, nella scheda dedicata a Matteo Olivero, grazie anche al Museo Mallé di Dronero e a quella iniziativa denominata “Il cammeo” che fa parte della serie “Piccole e grandi storie al femminile in Val Maira e dintorni”, messa in campo dalla curatrice sig.ra Ivana Mulatero, che segnala importanti figure femminili da riportare alla memoria. Come dice la curatrice « ricordarle ogni "otto" del mese vuol dire fare in modo che siano ancora presenti, tant'è che per nessuna di loro abbiamo voluto riportare la data di morte come a voler dire che sono un esempio ancora vivo ».

Per gli interessati riferirsi alla pagina https://www.facebook.com/museomalle/

MO2023 1.0 - Presentazione di Matteo OLIVERO - a c. Ass. Piémontais Pays d'Aix -  20.05.20
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